ECONOMIA
Ma che cosa è lo spread ?, il debito pubblico ?, l’avanzo primario ?, il deficit ? il PIL ? il 3% ?, il 60% ?
Cominciamo dallo spread: è il differenziale di rendimento dei bot rispetto ai bond tedeschi, per fare un esempio, se lo spread è a 160, significa che l’Italia paga sul proprio debito pubblico il tasso del 1,60% che va sommato al tasso di interessi che paga la Germania con i propri bond. Se in un determinato giorno l’Italia paga gli interessi del 2% sul debito pubblico e lo spread è 1,60, significa che in quello stesso giorno gli interessi che paga la Germania sono lo 0,40. (1,60+0,40 = 2%).
Da cosa dipende l’aumento o la diminuzione dello spread ?.
Dipende dal grado di affidabilita’ di un paese in ordine alla sua capacita’ di ripagare i debiti contratti, meno l’investitore rischia, e meno saranno gli inte ressi che percepira’, piu’ l’investitore rischia i propri denari e piu’ saranno gli interessi che otterrà alla scadenza del proprio investimento (BOT) e tutto ciò dipende giornalmente dalle misure che il governo intende varare, o attua, dagli indici ISTAT sulle ordinazioni, sul fatturato e ogni e qualsiasi altro parametro capace di misurare il livello di sviluppo del Paese.
In tutto questo vi è una forte componente psicologica, pensate alla Grecia, il suo debito pubblico, circa 240 miliardi, è assolutamente trascurabile, rispetto all’economia europea, eppure un default della Grecia si ripercuoterebbe con molta probabilità anche sul mercato italiano per cui l’investitore comincerebbe a dubitare anche della capacita’ italiana di far fronte ai propri obblighi conside rato l’enorme debito pubblico, circa 2.200 miliardi, per cui pretenderebbe, qua lora decidesse di acquistare i nostri BOT, di avere un rendimento rapportato al maggior rischio con la conseguenza di dover registrare un notevole aumento dei tassi di rendimento.
Il deficit: è la differenza tra le entrate e le uscite di uno Stato calcolata nel termine di un anno. Si è soliti dire che l’Italia, ormai da qualche anno, ha il c.d. avanzo primario. Ovvero, l’Italia incassa 100, spende 80, residua un attivo di 20. Questo e’ l’avanzo primario, ma se a tale residuo attivo vengono sommati gli interessi sul debito pubblico, ad esempio 40, abbiamo un deficit di 20 che dovra’ essere corretto, per assicurare il pareggio di bilancio, con l’emissione di BOT per la cifra di 20 che andranno ad aumentare il già enorme nostro de bito pubblico.
Il debito pubblico: è il debito di uno Stato che si è prodotto sommando negli anni i deficit annuali di bilancio; lo stato incassa 100, ma spende 200, emette quindi obbligazioni per 100 creando cosi’ un debito pubblico pari a 100. L’anno dopo, lo stato incassa 150, ma spende 300 ed è quindi costretto ad emettere obbligazioni per 150 che, se sommate alle 100 emesse l’anno prima, crea un debito pubblico di 250, e cosi’ via, fino ad arrivare all’importo attuale la cui consistenza non è neanche immaginabile.
PIL: è il prodotto interno lordo, ovvero, attraverso una serie di parametri si monitora il livello di sviluppo, crescita economica del paese in un determinato anno, è in pratica un indice che attesta la ricchezza prodotta e quindi l’affida bilita’ o meno di un paese nel saper far fronte ai propri debiti.
I parametri di Maastricht:
i parametri che seguiranno sono quelli stabiliti dal trattato che devono essere rispettati perché servono ad indicare il grado di affidabilita’ del paese in ordine alla sua capacita’ di far fronte al proprio debito pubblico.
3%: è la percentuale consentita nel rapporto tra deficit e pil: esempio: il PIL italiano è stato nell’ultimo anno di circa 1.600,00 miliardi, il 3% di 1.600,00 sono 48,00 miliardi, cio’ significa che per rientrare in tale parametro è neces sario che il bilancio annuale dello Stato non debba avere un deficit superiore ai 48 miliardi dovendo rientrare, per l’appunto, nella ormai famosa percentuale del 3%.
Questo dato tuttavia è un dato assai contraddittorio perche’ è un dato relativo, ma noi in realta’ lo dovremmo valutare anche nella sua assolutezza; spiego cosa voglio dire: se aumentiamo il PIL, che sarebbe un fatto assolutamente positivo, a 1.700,00 miliardi, il 3% diventerebbero 51 miliardi, quindi per rien trare nel parametro, potremmo permetterci un deficit maggiore, ma ciò, nella sua assolutezza, non sarebbe certo un fatto positivo perché andremmo ad aumentare ancora di più il debito pubblico pur rimanendo in linea con il para metro previsto.
60%: è la percentuale consentita nel rapporto debito pubblico PIL, esempio: se il PIL è 1.600,00 miliardi, il debito pubblico dovrebbe essere ricompreso nella percentuale del 60% dello stesso PIL, ovvero, 960 miliardi. Nel caso dell’Italia la percentuale è di quasi il 140%, (PIL 1.600,00 – debito pubblico 2.200,00) ed a ciò non si può aggiungere alcun commento, se non la consi derazione che in base a tale parametro, a partire dal 2016, dovremmo abbas sare il nostro debito pubblico di circa 50 miliardi l’anno fino ad arrivare al quel 60% di cui sopra, quindi il nostro bilancio annuale dovrà registrare un avanzo effettivo, e non solo primario, di 50 miliardi che dovranno essere destinati alla riduzione del debito pubblico che si realizza concretamente pagando in con tanti BOT in scadenza per lo stesso importo, senza emettere nuove obbliga zioni.
Quali sono le discussioni intorno alla importanza, o meno, dell’avere, da parte di uno Stato, un maggiore o minore debito pubblico ?
In economia, detto in maniera semplice, se non semplicistica, si fronteggiano due diverse tesi o orientamenti che poi in realta’ finiscono per essere due modi di interpretare la vita, due filosofie.
Vi è quella, genericamente solidarista, altrettanto genericamente ed orientati vamente di sinistra che ritiene che alla fine un maggior debito pubblico non è poi così una gran tragedia, che ciò che conta, sempre in relazione alla capa cità di uno Stato di far fronte al proprio debito pubblico, è il grado di attrazione nel proprio mercato di investitori italiani e stranieri, il know-how, la telematica, le infrastrutture, i trasporti, le innovazioni tecnologiche. Ecco, per questo orien tamento ciò che più conta non è tanto il debito pubblico, anche se enorme co me nel nostro caso, quanto piuttosto la vitalita’ di un paese, la sua capacita’ di far sistema, le occasioni di sviluppo che riesce a creare, e sarebbero tutte que te condizioni a rappresentare per l’investitore nel debito pubblico (acqui rente dei BOT), le migliori garanzie di solvibilita’ dello stesso Paese.
Vi è poi invece la tesi piu’ intransigente, liberale pura, conservatrice possiamo dire, anche calvinista-luterana, penso alla Angela Merkel, sicuramente anche piu’ ideologica per certi versi, la quale ritiene non solo e non tanto che i debiti contratti debbono essere onorati, ma che un economia deve sempre rima nere ancorata ai processi produttivi di un paese, alla sua economia reale ri fuggendo dai rischi della speculazione finanziaria cui sono soggetti quei Paesi con un elevato debito pubblico; quindi, uno Stato, per sentirsi protetto, auto nomo e libero nelle proprie scelte, sia nazionali che internazionali, non può trovarsi nelle condizioni, neanche teoriche, di dover essere, o sentirsi, ricat tato dalla speculazione finanziaria a causa di un elevato debito pubblico, spe culazione finanziaria che potrebbe anche determinare le sorti di uno Stato in ordine alla sua vita politica, economica e sociale.
Chi ha ragione ?
Penso che entrambe le tesi abbiano una parte di torto, ed una restante parte di ragione; è chiaro che quando un paese, mi riferisco all’Italia che detiene il terzo maggior debito pubblico mondiale, attraversa un periodo di instabilità politica ed istituzionale, gli investitori internazionali cominciano a dubitare della sua capacità in ordine alla restituzione delle somme corrisposte per l’acquisto dei titoli e quindi pretende il pagamento di interessi proporzionati al rischio maggiore che il finananziatore si assume, da quì l’aumento degli interessi, dello spread. In una situazione del genere se l’investitore decidesse di non fidarsi più e di non acquistare ulteriore debito pubblico, determinerebbe il default del paese, per cui lo Stato non sarà più in grado di pagare gli stipendi e le pensioni in quanto non potrà più finanziarsi emettendo nuove obbligazione che il mercato non acquisterebbe. In un momento del genere è naturale che si debbano assumere rimedi volti a tranquillizzare i mercati e quindi le c.d. riforme strutturali, quella sulle pensioni ad esempio, l’aumento delle tasse, dell’IVA, le tasse sulla casa e quant’altro in modo che i mercati siano rassi curati in ordine alle maggiori entrate e quindi alla solvibilità del paese.
Se tutto ciò rassicura in un primo momento i mercati, in realtà, è un pò come il cane che si morde la coda, le manovre finalizzate a porre rimedio ai timori degli investitori ed a scongiurare le varie e pesanti speculazioni finanziarie, finiscono per deprimere il mercato perché gli aumenti dei prezzi si ripercuo tono in una diminuzione delle vendite, in una diminuzione della produzione che comporta un aumento della disoccupazione e quindi, e qui c’è il para dosso, in una diminuzione delle entrate da parte dello Stato che è l’obiettivo esattamente opposto rispetto a quello che si era prefissato lo stesso Stato con la manovra iniziale.
La bacchetta magica in realtà non c’è, e se proprio la vogliamo avere essa è solo una: l’equilibrio nelle decisioni di natura economica. Se è vero che mano vre finalizzate a rassicurare i mercati dovevano, per forza di cose, essere as sunte nel momento in cui il nostro Paese era sottoposto ad una pesante spe culazione finanziaria, (in quel momento aveva ragione la Merkel), è altrettanto vero che a tali manovre avrebbero dovuto conseguire, prima che si manife stassero per intero tutti i danni di una recessione, delle iniziative atte a dar forza ai mercati, ad aumentare i consumi ecc. Questo è avvenuto solo in parte e con ritardo (e qui ha avuto torto la Merkel), ovvero, passata la bufera della speculazione finanziaria, si sarebbe dovuto intervenire con maggior rapidità ed efficacia, penso ad un allentamento dei vincoli, ad esempio all’esclusione dai parametri degli investimenti produttivi, che se al momento rappresentano un ulteriore costo, successivamente produrranno vantaggi all’economia, quindi maggiori entrate e più affidabilità nel pagamento del proprio debito. In altri termini, la constatazione del parziale fallimento di una politica recessiva, comunque necessaria in quel momento, avrebbe dovuto convincere, subito dopo, in maniera più rapida e decisa, la promozione di politiche economiche a livello europeo di rilancio dell’economia.
Resta tuttavia un fatto, il nostro debito pubblico ha raggiunto dei livelli insostenibili (l’abbiamo fatto noi, non la Merkel), e non possono non sfuggire i rischi di tale situazione che a mio avviso non sono solo e soltanto di carattere economico, ma soprattutto, sembra paradossale, sono di natura politica; co me avevo accennato in precedenza fino a che punto un paese, fondatore dell’Unione Europea, tra le prime dieci potenze economico-industriali al mon do, puo’ sentirsi completamento libero ed autonomo nelle scelte politiche, sia nazionali che internazionali, dovendo far fronte ad un debito pubblico così ri levante. In che modo ed entro quali termini un Paese può sentirsi condiziona to nelle sue scelte dal fatto che laddove gli investitori dovessero decidere di non acquistare i suoi titoli ne determinerebbero il fallimento. Ecco, io penso che in Italia dovremmo meglio e più approfonditamente valutare tali fatti ed acquisire una consapevolezza che forse fino ad oggi è mancata, in modo da assicurare alle generazioni future migliori condizioni ed opportunità oggi man canti proprio per la pesante zavorra rappresentata dal debito pubblico.
Di chi le responsabilità di questo nostro debito pubblico ?
Dobbiamo risalire molto indietro negli anni, non vi è dubbio che una parte di debito pubblico ha consentito all’Italia di potersi sviluppare e raggiungere, in termini di potenza economico-industriale, un posto importante nell’ambito delle economie internazionali, ma, come al solito, abbiamo poi esagerato, per cui una rilevante parte di questo nostro debito pubblico, indicherei approssima tivamente la percentuale del 50%, è finita a finanziare sprechi, assistenziali smo, opere pubbliche mai ultimate e poi deterioratesi e quante altre cose di questo genere sarebbe possibile indicare. I soggetti responsabili sono da individuare anzitutto nei politici della c.d. vecchia Repubblica e non ultimo, pesanti responsabilità sono da attribuire anche alle Regioni dal momento della loro cosituzione sino ad oggi.
Soluzione: (è chiaro che la pretesa di avere delle soluzioni è espressione ironica, ma comunque)
Due sono le direzioni da percorrere, la prima è rappresentata dal perseguimento concreto, efficace, dello sviluppo economico, ma ciò non solo non sarebbe sufficiente, ma addirittura sarebbe mortificante, oltre che inutile, qualora dovessero persistere gli elevati costi dello Stato; anni addietro girava una statistica la quale indicava nell’importo di €. 2.000,00 all’anno il costo che il cittadino tedesco pagava per il funzionamento del proprio Stato, quello fran cese ne pagava circa 2.500,00 e cifra più o meno analoga quello inglese. Il cittadino italiano invece pagava, ed oggi forse ancor di più, l’importo di €. 4.000,00. Direi che abbiamo già detto tutto.
E’ chiaro che se non si interviene sulla riduzione dei costi dello Stato non andiamo da nessuna parte neanche con un importante, cosa assai impro babile, sviluppo economico, perché se il maggior introito dovesse continuare ad essere destinato a finanziare enti inutili, assistenzialismo e quanto altro, avremmo perso un ulteriore possibilità, o occasione, di miglioramento delle nostre condizioni e sarebbe anche una grande presa in giro.
SPENDING REVIEW:
Ma stiamo scherzando ?, si parla di risparmi nella spesa pubblica e le cifre che circolano sono di 10-15 miliardi. Ma di tali somme non ce ne facciamo un bel niente. Noi abbiamo bisogno di una totale revisione dei meccanismi di spesa, di ristrutturazione dei Ministeri, soprattutto delle Regioni che sono state capaci di creare delle voragini di spesa senza soluzione di continuità; Mi chiedo, ma è stata mai insediata una commissione di esperti contabili, econo misti e quant’altro, con il compito di esaminare i bilanci delle regioni degli ultimi 3-5 anni ?, io penso che ne avremmo viste delle belle, e le potremmo vedere se solo qualcuno si decidesse ad intraprendere questa iniziativa. La famosa centrale unica delle spese di cui si parla da ormai qualche anno, quali risultati ha prodotto visto che ancora ad oggi una siringa nelle ASL del nord costa 0,05 centesimi e nelle ASL del sud costa circa 20-30 centesimi, provate a moltiplicare i due diversi costi per i milioni di siringhe che le ASL acquistano tutti gli anni e poi verificate la differenza dela spesa. Perché se negli ospedali del nord un posto letto al giorno costa 10, in quelli del sud costa 50 ?. E’ incomprensibile, ma soprattutto è incomprensibile che nessuno vi ponga rimedio. Il sud è parte integrante dell’Italia, senza il sud l’Italia non sarebbe l’Italia, il sud dovrebbe rappresentare la carta vincente del nostro Paese visto gli elevati margini di crescita a disposizione, ma non vi è nessuna iniziativa al riguardo, nessuna consapevolezza, nessuna responsabilizzazione né da parte dei cittadini, né dei politici.
GRECIA:
Si è parlato di una maggior solidarietà che l’Europa avrebbe dovuto avere nella gestione della questione greca, ma in realtà non si comprende a quale tipo di solidarietà l’Europa si sarebbe dovuta ispirare. L’età media di pensiona mento dei Greci si aggira, o si aggirava, intorno ai 55-60 anni di età, mentre negli altri paesi europei, anche in Italia a seguito della riforma, si aggira intorno ai 65-70; quindi solidarietà avrebbe forse significato consentire ai greci di con tinuare ad andare in pensione in anticipo, rispetto al resto dell’Europa ? e per ché ?, forse solidarieta’ avrebbe potuto significare non far pagare le tasse agli armatori greci ?. e perché ?; o forse beneficiare di un IVA al 13% quando in tutta Europa si aggira intorno al 20-22% ?. o di avere oltre un milione di dipen denti pubblici per un paese che conta poco di più di dieci milioni di abitanti ?, se dovessimo, in proporzione agli abitanti, avere un numero analogo di dipen denti in Italia ne dovremmo avere quasi sei milioni, mentre gli attuali tre milioni e mezzo sono già troppi.
Uno degli slogan del referendum greco era quello di votare NO, per riafferma re l’onore e la dignità del popolo greco. A me sembrava che per riaffermare l’onore e la dignità del popolo greco esso avrebbe dovuto votare SI; sì per as sumersi la responsabilità di far fronte ad un debito pubblico che hanno fatto loro e non altri (questo vale anche per l’Italia), sono loro e non altri che hanno truccato i conti del bilancio dello Stato all’epoca del loro ingresso nella unione europea. Sì a quelle riforme necessarie a fronteggiare il loro debito pubblico.
Subito dopo il referendum, su di una televisione nazionale, era stato lanciato un sondaggio il cui risultato aveva decretato che il 67% degli italiani erano d’accordo sulla scelta fatta dai greci di votare in maggioranza no!, mi sarebbe piaciuto chiedere, a quegli stessi italiani, se fossero stati d’accordo a pagare loro il debito greco per vedere come avrebbero risposto.
Ma le riforme imposte dall’Europa limitano l’autonomia e l’indipendenza della Grecia ?, ma non diciamo stupidaggini, quello che interessa all’Europa non è tanto la qualità ed il tipo delle riforme, rispetto alle quali vi è pur sempre la sovranità dello Stato, quanto la loro efficacia in termini di riduzione del debi to onde evitare che la moneta europea possa averne delle conseguenze nega tive. La Grecia era, ed è, libera e sovrana nel decidere le riforme da effettuare a condizione che esse si dimostrino efficaci, se vuol rimanere in Europa, in termini di riduzione del loro debito pubblico; d’altra parte, se hanno accettato le proposte europee ciò significa che anche loro hanno ritenuto che i rimedi indicati fossero gli unici capaci di rimediare alla drammatica situazione nella quale si sono cacciati. Ciò nonostante il fatto che la Grecia è governata da un partito marxista, come il suo leader Tsipras; ora, parrebbe quasi una vergo gna che un leader che si dichiara marxista privatizzi i porti ad esempio, o ac cetti supinamente le condizioni europee. Mi sarei aspettato il contrario, ovvero la nazionalizzazione di tutti i beni e servizi della Grecia ad esempio, altro che privatizzazioni; in altri termini mi sarei aspettato che la Grecia assumesse tutte quelle iniziative in campo economico-finanziario coerenti con i riferimenti ideologico-politici ai quali si inspira l’attuale classe governante, convinta che solo con l’attuazione dei principi a cui loro fanno riferimento fosse stato poss ibile uscire dalla crisi. Detta con una battuta, evidentemente non ci credono neanche loro, a dimostrazione che il dichiararsi marxista rappresenta solo uno specchietto per le allodole, uno status tanto simbolico quanto inutile, un etichetta infiltrita che si dimostra incapace ed impotente a risolvere i problemi.
Infine, si è parlato di ristrutturazione del debito pubblico greco, che in altri termini voleva significare una riduzione del debito con la rinuncia dei creditori ad una parte di esso. Ora è evidente che se la direzione fosse, o fosse stata, questa, allora non si vedrebbe il motivo per il quale non si potrebbe ridurre anche il debito pubblico del Portogallo ?. o quello della Spagna ?, o perché non anche quello dell’Italia ?, magari di 3-4 o cinquecento miliardi ?; ecco se dovesse succedere qualcosa del genere sarebbe la fine dell’Europa per cui se si ritiene utile far parte dell’Unione dobbiamo rispettarne le regole che la stessa unione si è data, altrimenti si esce e buona fortuna.