Sono sdraiato sul divano, sto guardando una partita di tennis su di una emittente che si occupa solo di questo sport, tra un gioco e l’altro mi appare, all’improvviso, il viso emaciato di un bambino del Biafra e la richiesta di un contributo per aiutarlo a sopravvivere. Mi alzo dal divano con un mezzo soprassalto, il sentimento che mi invade, oltre al dispiacere, è quello della mortificazione che accompagna sempre uno stato d’animo di impotenza, di totale impotenza. Mi tornano alla mente i ricordi di quando, tra i quindici ed i miei vent’anni, insieme agli amici del gruppo cattolico di Pratovecchio, di cui facevo parte, (sono da allora passati circa 40 anni), andavamo a raccogliere la carta proprio per i bambini, quei bambini del Biafra. Ricordo una giornata piovigginosa ed un viaggio a Londa dove era stato organizzato il deposito della carta e dove, per tutto il giorno, insieme a Don Carlo, non facemmo altro che raccogliere il materiale in delle presse, molto artigianali, per poi con un montacarichi, issarle sul camion che le avrebbe trasportate chissà dove. Certo, non pensavo allora, nè penso oggi, a maggior ragione, che quell’attivita’ svolta avesse potuto risolvere il problema della fame del mondo, forse ci speravo illudendomi, anche perche’ l’iniziativa era su scala nazionale e non certo solo locale. Quello che è sicuro tuttavia, è che, se a distanza di cosi’ tanti anni, i bambini del Biafra continuano a morire, vuol dire che qualcosa non ha funzionato; è un fatto oggettivo, inconfutabile, 40 anni fa i bambini morivano di fame, 40 anni dopo, gli stessi bambini, continuano a morire di fame.

Quali, e di chi le responsabilita’ ?. La sensazione, ma forse è qualcosa di più, e’ che una strategia, che poi è anche una filosofia, o una politica, fondata esclusivamente sul concetto di solidarieta’, si è dimostrata insufficiente, ed i fatti lo certificano, alla soluzione del problema; una solidarieta’ scissa ed estranea a qualsiasi concetto, o principio, di responsabilita’, ha dimostrato tutti i limiti affinchè si potesse veramente porre fine al, (mi dispiace usare un termine forte), massacro.. E’ sul binomio solidarietà-responsabilità che la politica avrebbe dovuto porre in essere tutte quelle iniziative nelle quali la solidarietà da una parte, avrebbe dovuto pretendere dall’altra, la responsabilità degli Stati dove si operava, e cio’ sotto due aspetti: il primo,  relativo alla stessa organizzazione dello Stato, le riforme, lo sviluppo, una buona amministrazione, mi chiedo, ma questi Stati esistono davvero, o sono presenti solo sulla carta geografica ?, e se esistono, che cosa fanno per salvare i loro figli ?. e le organizzazioni internazionali come intervengono ?; Mi parrebbe di capire che l’ONU, la FAO, e non ultima l’Europa, dovrebbero inviare del personale in grado di organizzare una buona amministrazione, di creare nuovi mercati, di sfruttare le materie prime spesso presenti in questi paesi, ma cio’ non per ricreare una sorta di neo-colonialismo, ma una qualche forma di protettorato, capace di assicurare alle popolazione indigena migliori condizioni di vita. Il secondo relativo ad un rapporto più diretto con le popolazioni. Consideriamo la percentuale di nascite delle donne africane che è pari a 4-5 bambini per donna fertile, e confrontiamo tale dato al tasso europeo che è di 1-1,5. Ve la immaginate un Europa con una natalità pari a quella africana ?; nel giro di soli pochi anni la popolazione europea aumenterebbe di diverse decine di milioni di persone che sarebbero da sfamare, e voi pensate che l’Europa sarebbe in grado di far fronte a tale necessita’ ?, o forse, problemi di fame si porrebbero anche nel vecchio continente. Ecco, figuriamoci in Africa.  E’ evidente che in questo dire non vi è affatto un attacco al sacrosanto diritto alla procreazione per il quale ogni donna al mondo deve poter concepire e partorire la propria creatura, ma qual’è il senso per una donna africana (ed anche europea nell’eventualità) che dopo aver messo al mondo uno o due figli, già sà che il terzo, ed a maggior ragione il quarto e quinto, moriranno di fame ?. francamente è incomprensibi le. Vi è stata una adeguata informazione ( non mi piace usare il termine educazione ) da parte delle organizzazioni internazionali e degli Stati interessati in merito ?. Peraltro, a tale stato di caos, si può aggiungere anche un’altro tipo di mancata informazione: è quella relativa ai bilanci delle varie ONLUS, provate a verificare, tramite internet, gli introiti di queste onlus ed il modo nel quale questo denaro viene speso, e vi accorgereste che non è assicurata al cittadino, magari al cittadino che le finanzia, alcun tipo di informazione, oppure, vi accorgereste che la maggior parte dei contributi ricevuti viene spesa per l’organizzazione del servizio, ma non per risolvere il problema che quello stesso servizio avrebbe dovuto risolvere. Comunque e per concludere, è evidente che tutto quanto detto dovrebbe maggiormente essere approfondito, ma in ogni caso mi pare altrettanto evidente che le responsabilita’ siano varie ed articolate, ed è anche certo che il concetto di solidarieta’ sul quale si è basata la cooperazione, estraneo a qualsiasi ed a qualunque forma di responsabilita’, non ha prodotto i risultati desiderati, una solidarieta’, non accompagnata dalla responsabilita’, ha dimostrato tutta la sua impotenza di fronte a tale inaccettabile tragedia.

ecco perchè se non vi sara’ una inversione di tendenza, saremo destinati ad  assistere ancora impotenti, increduli ed afflitti, alla morte per fame di migliaia di persone.

P.S.

per non fare di ogni erba un fascio, è chiaro che esistono ONLUS serie che svolgono con efficacia la loro attivita’, ma è altrettanto chiaro che a fronte di tali associazioni (poche), ve ne sono altre (tante) che destinano solo circa il 20% dei contributi ricevuti allo scopo per il quale sono nate, impiegando il restante 80%, al mantenimento della struttura organizzativa e del personale che vi lavora, evidenziando così la loro assoluta incapacità, se non peggio, a realizzare gli scopi che sulla carta, ma solo sulla carta, si erano prefissati.